Acidità: L'acidità di un'acqua ne indica la concentrazione di ioni idrogeno (H+).

Rappresenta la capacità di un'acqua a neutralizzare l'effetto di un innalzamento di pH.


Il pH è una scala di misura dell'acidità di una soluzione acquosa.

Il termine "pH" fu introdotto nel 1909 dal chimico danese Søren Sørensen,[1] e deriva dal tedesco potenz Hydrogen (potenza dell'idrogeno).[2]

Il termine p (operatore) simboleggia due operazioni matematiche da operare sulla concentrazione idrogenionica [H+] o, più correttamente, sull'attività dello ione ossonio in soluzione acquosa. Le due operazioni sono: il logaritmo in base 10 della concentrazione molare espressa in moli/litro e quindi il cambio di segno del risultato (moltiplicazione per -1). Va osservato che poiché l'argomento di un logaritmo deve essere adimensionale, deve essere sottinteso che la concentrazione molare del catione sia divisa per una concentrazione molare unitaria di riferimento (o standard), affinché il rapporto risulti adimensionale. Tale rapporto adimensionale in termodinamica ed in termochimica è definito attività.

Pertanto, si definisce in maniera rigorosa come:

    pH = -log10 (aH+)

in cui aH+ rappresenta l'attività adimensionale dei cationi ossonio, che - a parte le unità di misura - coincide numericamente con la concentrazione molare dei medesimi in soluzioni acquose sufficientemente diluite (≤ 0,1 mol/dm3), pertanto:

    pH = -log10[H3O+]

Il pH solitamente assume valori compresi tra 0 (acido forte) e 14 (base forte). Al valore intermedio di 7 corrisponde la condizione di neutralità, tipica dell'acqua pura a 25 °C. In realtà il pH può assumere valori compresi tra meno e più infinito in particolari soluzioni; ad esempio una soluzione di "oleum" (acido solforico concentrato saturato con triossido di zolfo) presenta un pH di -13.

Il pH può essere misurato per via elettrica, sfruttando il potenziale creato dalla differenza di concentrazione di ioni idrogeno su due lati di una membrana di vetro (si veda piaccametro), o per via chimica, sfruttando la capacità di alcune sostanze (dette indicatori) di modificare il loro colore in funzione del pH dell'ambiente in cui si trovano. Normalmente, sono sostanze usate in soluzione, come per esempio la fenolftaleina e il blu di bromotimolo.

Molto spesso gli indicatori si usano anche supportati su strisce di carta (le cosiddette "cartine indicatrici"), le quali cambiano colore quando vengono immerse in sostanze acide o basiche. L'esempio più comune è quello delle "cartine di tornasole", di colore rosa in ambiente acido e azzurro in ambiente alcalino. Fonte wiki