Con il sopraggiungere della stagione calda, si ritorna a parlare insistentemente degli "streptococchi", divenuti oramai la patologia estiva che più colpisce la troticoltura italiana e che sta diffondendosi anche in altre nazioni a vocazione troticola. Oramai quasi ogni allevatore di trote è venuto in contatto nel suo allevamento con questa vera e propria piaga: è per questa sua vasta distribuzione nelle troticolture e per i suoi devastanti effetti, che è da ritenersi senz'altro la principale malattia che colpisce la trota iridea, nell'arco della sua vita commerciale.

Le streptococcosi ittiche presentano una diffusione cosmopolita, colpendo un vasto numero di specie allevate e selvatiche, sia dulciacquicole che marine.
La prima segnalazione di questa malattia venne effettuata in Giappone nella trota iridea nel 1958; seguirono quelle dagli Stati Uniti nei pesci da esca (1966), dal Golfo del Messico in specie estuarine (1974) e, nella seconda metà degli anni '70, dal Giappone e dal Sud Africa in diverse specie ittiche. Nella seconda metà degli anni '80 tale malattia compare in Europa e nei paesi del bacino del Mediterraneo; nel 1986 penalizza fortemente l'allevamento della trota iridea e della tilapia in Israele, mentre nel 1988 viene diagnosticata in Spagna. Ma è negli anni '90 che tale patologia manifesta al massimo la sua pericolosità sul territorio europeo, colpendo diverse specie allevate: nell'estate 1991 fa la sua comparsa in Italia, in allevamenti di trota iridea, mentre nel 1994 si segnalano casi di streptococcosi anche nel rombo in Spagna. Recentemente sono stati riscontrati diversi focolai anche in territorio francese.

Basandosi esclusivamente sulla tassonomia tradizionale, con valutazione delle caratteristiche fenotipiche dei germi, si è spesso andati incontro ad imprecisioni sulla classificazione dei batteri implicati. La tassonomia molecolare invece è riuscita a far luce sull'eziologia della "streptococcosi ittica", dimostrando che sono implicati almeno 4 generi diversi e 7 specie di cocchi gram positivi. Fino a questo punto si è parlato della streptococcosi ittica come di una patologia unica; invece, sebbene i segni clinici e la mortalità siano, per la maggior parte dei casi, analoghi, si devono distinguere due gruppi di malattie. Schematicamente possiamo dividere le streptococcosi ittiche in "streptococcosi d'acqua calda" e "streptococcosi d'acqua fredda", a seconda che causino mortalità al di sopra o al di sotto dei 15° C; questo tipo di classificazione risulta essere semplicistico, ma distingue in modo esauriente le due tipologie di malattie causate da cocchi: la soglia di temperatura alla quale si manifestano le due patologie, è una soglia puramente teorica, in quanto, soprattutto per la streptococcosi d'acqua calda, le manifestazioni cliniche sono presenti anche al di sotto di tale temperatura.

Agenti eziologici della "streptococcosi d'acqua calda", patologia segnalata più di frequente, sono 4 specie di cocchi: Lactococcus garvieae (presente in Italia e Spagna in trota iridea), Streptococcus iniae (presente in Israele, in trota iridea, tilapia e in alcune specie marine), Streptococcus agalactiae (presente in Israele, in tilapia) e Streptococcus parauberis (presente in Spagna, in rombo). Per la "streptococcosi d'acqua fredda" invece, Vagococcus salmoninarum è la specie maggiormente implicata (presente in Francia ed Italia in trota iridea); seguono Carnobacterium piscicola e Lactococcus piscium.

Nell'ambito delle "streptococcosi d'acqua calda" sono ancora da distinguere, in relazione alla gravità ed alle lesioni riscontrabili, due patologie: la lattococcosi, sostenuta da L. garvieae e la streptococcosi propriamente detta, sostenuta da S.iniae. La prima ha un andamento decisamente iperacuto-acuto, con una mortalità molto elevata, mentre la seconda presenta un andamento cronicizzante, con minor mortalità.
In Italia, fino ad oggi, sono state segnalate la lattococcosi e la vagococcosi; la streptococcosi propriamente detta è presente fino a questo momento solo in Israele.

La lattococcosi (L. garvieae) è la patologia sostenuta da cocchi gram positivi più diffusa sul territorio italiano e per questo più studiata. Fin dalla sua prima apparizione nel 1991, ha causato elevatissimi danni alle troticolture italiane della pianura padana, con mortalità elevatissime, oscillanti tra il 50 ed il 70% a seconda delle annate. Colpisce le trote di tutte le taglie con maggiore predilezione per quelle di taglia superiore, dove provoca mortalità ingenti. La sintomatologia in vasca è caratteristica ed ogni allevatore che convive con tale malattia l’ha ben presente: oltre ad un comportamento letargico dei soggetti, che nuotano superficialmente al fondo delle vasche e vicino alle griglie, sono evidenti la melanosi ed il caratteristico esoftalmo bilaterale che porta alla protrusione dei globi oculari, che in alcuni casi arriva allo scoppio vero e proprio ed alla completa espulsione. Si osserva inoltre la presenza di ano estremamente arrossato e congesto, spesso con fuoriuscita di materiale mucoso bianco-giallastro. I soggetti con patologia conclamata non si alimentano, per l'instaurarsi di una precoce anoressia e giungono ben presto a morte. Il quadro anatomopatologico è altrettanto caratteristico, in quanto si osserva evidente esoftalmo, accompagnato da opacamento della cornea. All'apertura della cavità celomatica si evidenziano pericardite, emorragie sparse a tutti i visceri, soprattutto a livello di fegato, grasso periviscerale e vescica natatoria e splenomegalia; si apprezzano inoltre marcati fenomeni di meningite e di enterite emorragica. La precoce anoressia, accompagnata dai sempre più frequenti problemi di antibiotico-resistenza, rende tale patologia difficilmente trattabile con i comuni presidi terapeutici.

La vagococcosi (sostenuta da V. salmoninarum) è invece una malattia ad andamento cronicizzante che colpisce soprattutto soggetti di grossa taglia (superiore ai 100 g). E’ comparsa con una certa frequenza solamente da pochi anni sul nostro territorio, ma sta diffondendosi in modo preoccupante. Patologia tipicamente d'acqua fredda, con temperature ideali di crescita dell’agente eziologico intorno agli 8-10° C. La sintomatologia è del tutto analoga alla precedente, tanto da essere praticamente indifferenziabile dal punto di vista clinico, in quanto a tali temperature anche la lattococcosi presenta un andamento meno grave. La mortalità accertata fino a questo momento si attesta intorno al 20-30% annuo, alimentando notevolmente le preoccupazioni degli allevatori e dei ricercatori. Le lesioni sono caratterizzate da cheratite ed emorragie oculari, anemia branchiale ed epatica, emorragie a carico di fegato, vescica natatoria e peritoneo, splenomegalia e pericardite, iperemia ed edema delle meningi. Anche in questo caso la terapia antibiotica risulta essere poco efficace per l'anoressia che si instaura precocemente e per la facile resistenza indotta.
Per la lattococcosi, a differenza della vagococcosi, da diversi anni oramai, si è intrapresa la strada della profilassi vaccinale per via intraperitoneale che ha fornito dati incoraggianti. L'iniezione intraperitoneale porta ad una immunità abbastanza solida e duratura (da 3 a 5 mesi a seconda del tipo di vaccino). Sono attualmente allo studio anche interventi vaccinali per os, mediante vaccino da somministrare attraverso il mangime e per bagno.

La Streptococcosi ittica è un argomento di grande attualità: grazie agli studi finora effettuati, in gran parte da ricercatori dell'IZS di Torino ed israeliani, si è giunti a molte conoscenze che però necessitano di ulteriori approfondimenti. Nel prossimo triennio probabilmente sarà possibile ottenere altri buoni risultati nel controllo di queste malattie, anche grazie alla ricerca finanziata dal Ministero della Sanità e dalla Comunità Europea, a cui partecipano Israele, Francia ed Italia, con 3 centri di ricerca (IZS di Torino, di Perugia e di Brescia) ed alla ricerca di singole ditte private. E' opportuno che anche gli allevatori collaborino, per quanto può essere di loro competenza, a queste ricerche, in modo da conoscere al meglio queste patologie, per poterle combattere.

Marino Prearo