La discussa efficacia della fumagillina e l’impossibilità di utilizzazione del verde malachite hanno reso la malattia del rene proliferante ancora più importante e difficile da curare. Sebbene il periodo estivo sia ancora lontano, vi propongo il lavoro della Dott.ssa Antonella Magni e della Dott.ssa Sandra Zanchetta su questa patologia.

La malattia del rene proliferante indicata con la sigla PKD, dalla forma inglese contratta di Proliferative Kidney Disease, è causata da un protozoo di classificazione incerta e caratterizzata da una infiammazione cronica del rene. Nonostante siano diverse le specie di salmonidi che possono essere colpite questa malattia è stata spesso evidenziata in trota iridea (Oncorhynchus mykiss). Presente in varie parti del mondo, in Europa risulta particolarmente diffusa nelle troticolture comprese quelle italiane.

Descritto per la prima volta agli inizi degli anni ‘70 l’agente responsabile di questa parassitosi è stato inizialmente identificato in un’ameba e solo successivamente, attraverso un attento studio della sua struttura morfologica, è stato riconosciuto similare ad un mixosporidio della famiglia Shaerospora: infatti nel corso del suo ciclo evolutivo presenta uno stadio sporidico.

In genere la parassitosi ha un carattere stagionale con quadri conclamati soprattutto nel periodo di inizio estate fino a tardo autunno. Tende ad infestare pesci ancora molto giovani ed il recente sospetto che possa rappresentare un parassita naturale in trota, oltre alla incompleta conoscenza del suo ciclo vitale rende questa parassitosi una interessante materia di studio per diversi gruppi di ricerca. Anche se i dati reperibili al momento in bibliografia, e le sperimentazioni realizzate sono ancora poco pubblicizzate, l’argomento risulta importante in quanto anche nelle troticolture nostrane la PKD si presenta con numerosi casi. Riuscire ad aumentare le informazioni scientifiche sulla malattia potrebbe essere di conseguenza un valido aiuto per gli addetti ai lavori del settore ittico.

Come suggerisce il nome con cui è definita questa parassitosi “l’organo bersaglio”, che primariamente invade, è rappresentato dal rene. Questo infatti presenta un aumento di volume non indifferente tanto che è possibile osservare sul lato esterno dei pesci colpiti , lungo la linea laterale, un marcato rigonfiamento.

Normalmente i sintomi conclamati negli animali affetti dalla malattia sono costituiti da esoftalmo, dilatazione addominale con presenza di ascite, melanosi ed una spiccata anemia generalizzata.
In particolare quest’ultima ad un attento esame autoptico, nel pesce che presenta PKD, interessa il rene, la milza ed il fegato. A questi si accompagna un caratteristico quadro anemico anche delle branchie.

In generale comunque il parassita presenta uno spiccato tropismo verso il parenchima renale che oltre ad un marcato aumento di volume è caratterizzato da un contemporaneo rammollimento dell’organo. Il rene inoltre è interessato dall’infestazione in tutta la sua estensione con particolare preferenza per il terzo posteriore. A livello superficiale si possono rilevare macroscopicamente noduli più o meno pronunciati in relazione alla gravità dell’infestazione.
La diagnosi della malattia può essere effettuata mediante una indagine istologica che supporta la diagnosi di campo conseguita dalla sommatoria dei sintomi clinici osservati. In particolare si può eseguire a livello di laboratorio una ricerca del microrganismo su porzioni di tessuto renale fissato in paraffina e successivamente colorate con ematossilina eosina oppure con il metodo Giemsa (una colorazione non particolarmente complessa, che viene eseguita “ a fresco” su impronte renali impresse su vetrini per lettura microscopica). Con l’ausilio del microscopio è possibile individuare il parassita e l’assetto della struttura morfologica renale fortemente alterata qualora la parassitosi sia in atto.

In questo caso, il quadro istologico risulterà particolarmente evidente presentando una distruzione delle strutture escretorie renali all’interno di aree di infiammazione cronica, iperplasia ed occlusione dei vasi poiché l’endotelio vasale, cioè lo strato di cellule che delimita i vasi sanguigni, risulta un’area preferenziale di localizzazione per il parassita. Spesso perciò si possono rilevare aggregati cellulari che creano dei problemi di occlusione vasale. Questo sembra dovuto anche per la proliferazione di cellule fagocitarie richiamate dalla presenza del parassita.
Resta infine ancora poco definita la diminuzione di melanina associata con la presenza di PKD. Si pensa che probabilmente sia in relazione alla massiccia attivazione delle cellule macrofagiche mobilitate nei confronti del parassita ad una azione fagocitaria, non è chiaro però come il meccanismo si sviluppi.
Al momento numerosi studi sono in corso nel tentativo di offrire delle valide soluzioni verso questa patologia che interessa sia il nostro Paese che altri Stati europei , forti produttori di pesce, come ad esempio la Scozia. Sono infatti di origine scozzese i più recenti lavori diagnostici nei confronti della PKD.

Rimane purtroppo però ancora insoluto il problema della diffusione della parassitosi.
E’ comunque stato osservato che un gruppo di individui qualora colpito dalla malattia presenterà una forte incidenza di mortalità perchè il quadro anemico creatosi rende i soggetti parassitati particolarmente vulnerabili a patogeni secondari o a fattori ambientali stressanti. Ad esempio una riduzione dei valori ottimali di ossigeno può rappresentare un elemento debilitante in tal senso. Ricordando inoltre che il rene è l’organo per eccellenza deputato al meccanismo di osmoregolazione e riconosciuto uno dei siti primari della risposta immunitaria dei pesci si intuisce facilmente come una incapacità ad adempiere le funzione alle quali è preposto crea nei soggetti colpiti uno stato di stress generale. E a conferma di una ridotta attività nel processo di osmoregolazione sarebbero imputabili i segni di esoftalmo e ascite.
Risulta, ed è stato osservato sperimentalmente, come sia buona norma per abbassare i valori di mortalità determinati dalla PKD tenere costantemente controllati ad un livello ottimale i principali parametri dell’acqua (quali ossigeno, temperatura e pH) dove i pesci sono stabulati. La temperatura deve essere mantenuta al di sotto di determinati valori in quanto si è visto che la patologia è strettamente correlata a questa, in modo particolare quando supera i 15°- 16°C.

Negli animali affetti dalla parassitosi andranno anche evitate quelle situazioni che portano direttamente o indirettamente a situazioni stressanti per il pesce. Selezioni, manipolazione eccessiva, trasporti, forzature di alimentazione andranno notevolmente ridotti.
Una diminuzione nell’alimentazione con conseguente riduzione dei prodotti catabolici e il miglioramento dello stato qualitativo dell’acqua, costantemente mantenuto con un buon ricircolo, potranno rappresentare delle buone pratiche di gestione che permetteranno in certa misura di controllare la malattia.
In termini terapeutici oltre alla applicazione di alcune buone norme nella conduzione di allevamento è stato associato, soprattutto in passato, l’impiego di disinfettanti come ad esempio il verde malachite. Questo si presentava particolarmente valido contro l’infestione protozoaria. Il problema del suo utilizzo è subentrato però in questi ultimi anni in quanto è stato bandito legalmente a tutela della salute pubblica. Di conseguenza è risultato che anche leggere tracce di residuo di questa sostanza nei pesci del commercio impone la loro esclusione dal consumo.
A scopo terapeutico sono stati anche impiegati farmaci ad azione antiprotozoaria come ad esempio la fumagillina, impiegata negli USA e nel Regno Unito e sperimentalmente utilizzata in Francia, il cui utilizzo però ha dimostrato un alto valore di tossicità del prodotto e un riscontro non particolarmente positivo in termini di sopravvivenza dei soggetti trattati.
Alla luce di queste considerazioni si può quindi dedurre come l’unica metodica di trattamento efficace, attuabile nei confronti di questa malattia, sia rappresentata per ora da una attenta gestione dell’allevamento.

Dott.ssa Sandra Zanchetta
Dott.ssa Antonella Magni